Radius e la Formula tre

Alberto Radius ha 75 anni ma non li sente e continua a portare in tournée la sua versione della Formula Tre, con cui è tornato in concerto al Blue Note dopo 40 anni di assenza da Milano.
Come siete stati scoperti da Mogol e Battisti?
«Battisti lo conobbi a Roma da ragazzino, quando suonavamo in oscuri gruppetti, poi lo persi di vista. La mia carriera all'inizio non era un granchè. Era una faticaccia trovare i locali dove suonare. Un giorno ero solo nella mia stanza d'albergo a Milano, e mi guardavo nello specchio in piena depressione, però non ho mollato e mi è andata bene».
Perché?
«Suonavo con i ragazzi al Paip's di Milano, un locale in stile texano dove si mangiava una buona bistecca. Facevamo il nostro rock, praticamente una jam session, un suono all'avanguardia quando non c'era ancora il progressive rock. Arrivarono Mogol e Battisti cercando talenti per la loro nuova etichetta, la Numero Uno e ci presero subito. Erano dei maghi della musica, tutto quello che toccavano si trasformava in oro. Scrissero per noi un brano che divenne la sigla di chiusura del Festivalbar o di un programma del genere e quel brano, che era Questo folle sentimento, dopo due settimane era quarto nella classifica dei dischi. Così cominciammo ad avere successo».
E siete diventati il gruppo di fiducia di Lucio.
«Lucio non amava molto esibirsi dal vivo ma facemmo due splendide tournée con lui nel 1970 - '71. C'erano un migliaio di persone a concerto. Oggi non è nulla, ma allora era una folla oceanic. Ci siamo divertiti e abbiamo imparato molto».
La Formula Tre ha avuto un sacco di successi in classifica ma è durata poco.
«Ci sentivamo troppo stretti in un gruppo. Io ho aperto il mio studio di registrazione a Milano, ho lavorato in tandem con un grande autore come Oscar Avogadro e accompagnato tutti i più grandi artisti italiani e ho avuto la mia carriera solista con un successo di culto e tante soddisfazioni».
Per esempio?
«Il mio primo album solo, quello in cui in copertina uscivo dal frigorifero, oggi è da collezione. Ci suonava fra gli altri Mario Lavezzi. Nelle case discografiche giocavano tutti a fare i comunisti, cosìcon Oscar dal '78 ci abbiamo dato dentro nel mio studio, dove non mancavano mai artisti del calibro di Tullio De Piscopo e Julius Farmer, geni della batteria e del basso. Ho fatto dischi in cui ha cantato persino Demetrio Stratos e un altro album ricercato dai collezionisti come America Goodbye. Con una copertina stranissima che si apriva con la bandiera americana e raccontava pregi e difetti dell'America».

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