Ischia


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Il terremoto che ha colpito Ischia rinnova l’incubo. A quasi un anno esatto da Amatrice.
Quello che è successo mette in luce un grande interrogativo: come reagirà questa volta il governo? L’interpellato prova a rispondere e la linea, dal ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda al segretario del Pd, Matteo Renzi, è la stessa di un anno fa: puntare su Casa Italia. “Dobbiamo correre di più su Casa Italia”, twitta Renzi poche ore dopo che a margine del Meeting di Rimini il ministro aveva affermato: “Dobbiamo lavorare sul progetto Casa Italia, mettendoci ancora più risorse”.
Ma il progetto, annunciato con grande enfasi il 25 agosto 2016 dall’allora premier Renzi sull’onda dell’emotività dopo il terremoto che ha fatto 299 vittime nel Centro Italia, vive una fase di stagnazione evidente. Poche risorse stanziate, dodici mesi dove gli incontri e le consultazioni con le istituzioni locali, le organizzazioni professionali e le associazioni imprenditoriali, sindacali e ambientaliste hanno dato vita a risultati risibili.
Sull’onda emotiva del sisma si rispolvera un progetto celebratissimo, ma mai partito, arenato tra molte lungaggini e poche risorse. Un anno dopo, l’unica casa che finora ha prodotto (quasi) è un nuovo Dipartimento a Palazzo Chigi.
Fuor di metafora, dove si prenderebbero i denari per abbattere mezza penisola e ricostruirla antisismica? Si sia seri. In Italia non esistono fondi per mandare in pensione in un tempo giusto (non quello attuale che fa finire la carriera a cadaveri di settantenni che stanno in piedi per caso!);non esistono fondi per eliminare la disoccupazione giovanile (perché, quella vecchierella ce la teniamo o non esiste?); la scuola è deficitaria e si è ancora – nemmeno ai tempi del duce! – a contribuire per la carta igienica; gli ospedali sono privi del personale numericamente giusto(quando succedono casini, molti invocano la ‘malasanità’, che a volte ci può essere, senza rendersi conto che, nella stragrande maggioranza dei casi è colpa di una dirigenza incapace e che continua a riscuotere stipendi da califfo!); le carceri sono strapiene con individui collegati a un destino segnato e malamente consigliate (molte ‘ong’ carcerarie dovrebbero finirla di mettere idee malsane nella testa dei detenuti che pensano di uscire fuori e fare gli artisti: pittori, scrittori, musicisti, cantanti, etc. Basterebbe dar loro le basi per fare il falegname, il commesso, il ciabattino, il ragioniere, etc.).
La soluzione? Cambiare la società. Non si sfugge. Bisogna che ognuno faccia quello che i propri neuroni gli permettano. Con lo stesso stipendio per tutti. Non bisogna mandare i propri figli all’università con la speranza che non facciano la vita da operaio sfruttato che fai tu: bisogna mandarli perché hanno l’indole adatta a dirigere e non perché, domani, bacchettino quelli come… te stesso, oggi!
Comunque e per tornare al tema principe, una società livellata su un’economia individuale decente avrebbe tutti i soldi necessari a buttare giù le case ataviche e ricostruirle antisismiche. E, per favore, non andate al mare in tempo di votazioni. Scegliete il meno peggio, almeno.

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