"Sono tornati i Braccialetti Rossi", una storia di Mimmo Parisi


 
La copertina del libro
 
Buone vacanze a tutti.
Di seguito si pubblica un racconto del libro “Racconti di periferia”, del cantautore Mimmo Parisi. È una storia ambientata nel reparto Pediatria dell’ospedale Bellaria di Bologna; si chiama “Sono tornati i Braccialetti Rossi”. Se vi piace la scrittura, potete accedere all’intero volume, in forma cartacea, al seguente indirizzo: http://ilmiolibro.kataweb.it/libro/narrativa/259432/racconti-di-periferia/
 

Sono tornati i Braccialetti Rossi
    

L’ospedale è situato su un ridente rilievo di collina, alla periferia di Bologna. Oddio, ridente forse è eccessivo, visto che si tratta di un ospedale. Be’, di sicuro offre ristoro ai polmoni: l’aria che a volte si trasforma in gentile brezza quando è sereno, e raramente, in vento incazzato quando i nuvoloni incalzano da nord, è di solito dissetante per chi proviene dallo smog cittadino. Come dire? ecco: su quei colli c’è proprio una bell’aria.
Quel giorno, provenienti da fuori città, una famiglia in macchina scortata dai pini che fanno la guardia alla strada che porta al complesso ospedaliero, si accingeva a raggiungere un padiglione:
– Scusi, per il reparto Pediatria? chiese il padre in portineria centrale.
– Ah, non potete sbagliarvi: basterà uscire da qui. Proprio di fronte c’è il padiglione G. Quello verde…
– Verde? Non mi piace. Lo voglio rosso! Disse la voce del bambino, interrompendo il dialogo degli adulti.
– Umh… sì, si può fare, rispose l’impiegato spiaccicando la faccia contro il vetro per tentare di scorgere il proprietario della voce che pretendeva un padiglione G di color rosso.
– Hai visto papà? A volte basta chiedere.
– Ma certo: basta chiedere, nella vita basta chiedere e ti si aprirà un mondo nuovo di zecca. Il mondo non aspetta altro che gente che esprima desideri per, immediatamente, esaudirli, commentò divertito l’impiegato.
Il portiere aveva l’aria di chi aveva vissuto la fine della seconda guerra mondiale del 1945, poi il ’68, le “targhe alterne” dell’Italia del 1973, il ’77, “The Final Countdown” degli Europe nel 1986, la caduta del Muro nel 1989, il grunge di Kurt Kobain, il ventennio berlusconiano e… Niente, non c’era verso: il ministro dell’Economia e delle Finanze lo teneva lì, inchiodato al suo posto di combattimento.
Quel signore che tutti i giorni andava a occupare la sua postazione di lavoro all’entrata principale, situata nella zona monumentale del complesso architettonico, guardò il padre del bimbo e gli disse:
– Beato lei che è giovane. Insomma, almeno per adesso non è angustiato dal pensiero della pensione. Purtroppo per me, non posso dire la stessa cosa. Lei segue l’attività del Parlamento?
– Be’ sì. Ma un pochino, rispose l’interpellato.
– Un pochino? Mi scusi eh, fa male a interessarsene così poco. Quelli che decidono per te, non sempre decidono bene. Anzi, quasi mai decidono bene… Ci toglierei pure quel quasi! Lo sa cosa ha detto il ministro dell’Economia e delle Finanze? Glielo dico io: “Non possiamo essere l’unica nazione ad avere pensionati giovani, dobbiamo seguire la Germania che manda a riposo i suoi cittadini a 70 anni”. Il ministro è orgoglioso di essere al fianco dei tedeschi che, si sa, sono precisi e progressisti. Il fatto è che, i tedeschi e già da qualche anno, sono ritornati sui loro passi e hanno accordato la pensione a 63 anni. Il Governo della Germania ha pensato bene che, a 70 anni, più che dare il riposo alla gente, si rischia di dare… l’eterno riposo! Ma chi glielo va a dire al ministro dell’Economia e delle Finanze che i tedeschi hanno fatto marcia indietro? Non ci crederebbe e così, gente come me, soldati di Waterloo, atavici impiegati delle poste alle prese con i leccamenti dei francobolli (l’unica attività che la salute gli permetta) e muratori impegnati coi mattoncini Lego (e chi cazzo riuscirebbe a sollevare un tufo a cent’anni?) siamo ancora tutti qui, a lavorare! Ma lo sa lei che la pensione non solo è giusta, ma non fa male? Io manderei a lavorare nelle miniere tutti quegli imbecilli truccati da studiosi che dicono che la fine dell’attività lavorativa porti alla depressione. L’Università di Sidney ha fatto uno studio su 25.000 senior australiani. Ha appurato che non è vero che tutti gli ex lavoratori finiscono come il ragionier Fantozzi. È invece l’occasione per dedicarsi alle diverse attività che possono interessare l’individuo. Va da se che se uno è appassionato di politica o di studi sui girini negli stagni e, per sua fortuna, ha fatto quelle attività da sempre, di pensione non ne vuole sapere. Ma, e questa è la stragrande maggioranza dei casi, se si fa un lavoro per campare onestamente, quando è arrivato il momento di mollare, bisogna dare la possibilità di farlo! Altro che il verdetto di quegli improvvisati studiosi dei miei stivali! Inoltre, lo studio australiano dell’Università di Sidney ha segnalato che, allontanandosi dal lavoro, gli individui ricevono effetti particolarmente benefici sulla salute fisica e mentale: 67 giorni in meno di vita sedentaria, 93 minuti in più di sport a settimana. È c’è perfino il miglioramento del riposo notturno: 10 minuti di sonno in più. Ma che faccio a parlare…
Il padre fece un sorriso di circostanza. Aveva capito che il portiere aveva bisogno di sfogarsi.
– Si faccia coraggio. Vedrà che una soluzione, quelli del Parlamento, la trovano, disse salutando.
Mentre padre e madre cercavano di allontanarsi col figlio, quest’ultimo si divincolò e ribadì all’impiegato:
– Allora, signore, c’è la possibilità di un ‘mio’ reparto color rosso?
Il ‘vecchio soldato’ lo guardò e, visto che strattonava il padre, intervenne:
– Va be’, per te si può fare. Dai, aspetta che ti faccio sedere.
L’impiegato uscì dalla ‘garitta’ porgendo una sedia al bambino. Quest’ultimo si accomodò contento.
– Devi avere un attimo di pazienza. Adesso telefono per far arrivare i muratori: ti faccio costruire subito un padiglione G di color rosso. Quindi, rientrò nella sua postazione e fece finta di telefonare. Uscì da nuovo e si avvicinò al bambino.
– Tutto a posto, hanno detto che appena si sbrigano saranno immediatamente qui. Al momento stanno finendo di costruire un padiglione color verde al Sant’Orsola, anche lì c’è un bimbo che come te, pretende un colore personalizzato per il ‘suo’ reparto: che vuoi fare, non l’accontenti?
– No. È giusto. Prima sbrighino lui. Poi toccherà al ‘mio’ reparto, vero? Acconsentì il ragazzino.
– Bravo. Vedo che sei saggio… tuttavia è giusto che tu sappia una cosa. Il regolamento di questo posto chiede a tutti i bambini che pretendono un reparto nuovo di zecca, e in special modo se di color rosso, come previsto dal comma 24 dell’articolo 12 sulle proteste e affini, mutuato dal vecchio comma 16 del…
– ‘Commo dici’? interruppe confuso il bambino che ormai si stava stancando nell’attesa.
– ‘Commo dici’? Ma che razza di espressione è, ridacchiò il vecchio portiere.
– Mi scusi. È che tutti quei ‘comma’che mi stava proponendo mi hanno imbrogliato la lingua!
– Capisco. Tuttavia, come dicevo, farsi costruire un reparto su misura include qualche rinuncia.
– Perché bisognerebbe fare qualche rinuncia? chiese allarmato il piccolo.
– Perché si vuol vedere se la richiesta fatta arriva da un bisogno serio e non da una bizza di passaggio: ma tu non sei tra quelli, hai fatto una richiesta seria, dico bene?
– Seria? Serissima.
– Bravo. Lo sospettavo. Quindi e riprendendo il discorso, il primo sacrificio richiesto è che il richiedente di un padiglione tutto suo di color rosso, salti la colazione ma, qui la cosa diventerebbe più seria, se la squadra di muratori non si facesse viva prima del pranzo, ci sarebbe il rischio di saltare pure il pranzo…
Quindi, l’impiegato scrutò l’orologio e corse di nuovo verso il telefono della sua postazione. Alzò la cornetta e confabulò sbraitando con le braccia. Poi si avvicino al suo piccolo interlocutore:
– Sai, ci sono delle complicazioni. Per dirla tutta, nel tuo caso c’è il grave problema che tu non veda nemmeno la cena. Da quel poco che mi hanno fatto capire, pare che la gradazione di verde pretesa dal tuo ‘collega’del Sant’Orsola non sia di facile reperibilità: i muratori stanno buttando giù tutto quello che hanno costruito perché, per l’appunto, il verde col quale avevano tinteggiato non piaceva al tuo ‘collega’. Speriamo che vada meglio col secondo padiglione. Ma, a proposito di gradazioni, tu il ‘tuo’ padiglione lo vorresti rosso cinabro, rosso melograno, rosso porpora, rosso…
– Non ci avevo pensato a questo. Tuttavia, io comincerei ad avere un po’ di fame… e qui le cose rischiano di andare per le lunghe. Che ne direbbe se rimandassimo la costruzione di un ‘mio’padiglione G color rosso a un’altra occasione? Nel frattempo potrei riflettere sulla gradazione è… farmi comprare una merendina da mio papà, rispose impreparato e affamato il bambino.
 – Ma certo. Mi raccomando, la prossima volta portami la gradazione esatta: ce ne sono ancora tanti di rossi: Borgogna, Cadmio, Sangria, Scarlatto, Fucsia, Granata…, commentò allegro il vecchio portiere che prese la sedia e la riportò nella postazione.
La collega del portiere gli sbraitò contro:
– Ma insomma, qui c’è un sacco di gente che ha bisogno di informazioni e tu te ne vai fuori a giocare con un bambino. Incredibile!
– Silenzio. Tu non capisci niente: si stava deliberando per la costruzione di un nuovo padiglione, altro le chiacchiere dei ‘vertici’, rispose il vecchio portiere ridendo.
Sull’uscita il bimbo urlò:
– Ma se vengo l’hanno prossimo col colore scelto, la trovo oppure devo parlare con un altro?
– Ehh… hai voglia se mi trovi qua: ti pare che non arrivi un altro Governo con idee splendide per i vecchietti: amico mio, ricordatelo, i Governi cambiano ma i lavoratori no. Sempre fissi e imperterriti fino a cent’anni a sgobbare. Comunque se non mi trovassi qua, fatti accompagnare da tuo papà in qualcuno dei reparti dell’ospedale. Vedrai che mi troverai. Significherebbe che mi hanno promosso da centralinista/PORT a paziente/PORT, rispose gagliardo il vecchio impiegato.
– Da centralinista/PORT a paziente/PORT? Scusi, ma che significa, cos’è quel suffisso ‘PORT’? chiese incuriosito il padre del piccolo.
 – Oh, niente di speciale. È un’idea dell’ufficio Tecnico. Lì inventano un sacco di cose… Al mattino aprono l’ufficio e si siedono a pensare cosa possono inventarsi per rendere meno ‘noioso’ il tempo dei medici, infermieri, impiegati, OSS, coordinatrici e quant’altro. Sapesse quanti acronimi improbabili girano per l’ospedale: uno dei più simpatici, me lo raccontava Nando, un mio vecchio amico infermiere che ha visto la Bastiglia e che, a causa degli acciacchi deve litigare con i suoi assistiti perché non vogliono cedergli per una mezzoretta il letto. Be’, non ci crederà, ma esiste un modulo che si chiama FUT!
– Be’, e che ci sarebbe di straordinario in quella sigla?
– Mah, il fatto è che il mio amico è del sud. E si sa, al sud sono coloriti nelle espressioni. Ora ‘sto benedetto FUT non è figlio unico…
– Figlio unico?
– Sì. Insomma c’è il FUT 1, il FUT 2, il FUT 3 etc. Così, quando qualche malcapitato specializzando gli chiede sconsolato uno di questi famosi FUT, se il reparto è tranquillo, lui glieli fornisce. Tuttavia, se la giornata volge al delirio, il mio amico inizia a innervosirsi e comincia a dire: “Ma finiamola con ‘sti FUT, io ho mille cose da fare… che cazz me ne FUT di ‘sti FUT!”
– Ah, ora capisco. In effetti, incorniciato in questo aneddoto, l’acronimo è esilarante, commentò il padre. Poi chiese:
– E per quanto riguarda il ‘suo’ suffisso PORT?
– Quello significa, nel primo caso centralinista/PORTiere…
– Ah, ma certo. Invece…
– Nel secondo caso, invece, paziente/PORTatore…
– Portatore, e di che cosa? chiese il padre del piccolo.
– Oh, è ovvio: di pannolone. Ah, comunque, scherzo eh, disse l’anziano ridacchiando amaro. E, inoltre e se le fa piacere saperlo, quel FUT di prima è solo l’acronimo di Foglio Unico di Terapia. Arrivederci.


Finalmente il vetro scorrevole dell’entrata del famoso padiglione G fu oltrepassato.   Presero l’ascensore per il secondo piano.
Quando furono nel reparto, il bambino e i suoi genitori, furono fatti accomodare in camera 9. L’OSS di turno, una mora gentile e dall’aria familiare, dopo aver spiegato per grosse linee le caratteristiche del luogo che avrebbe ospitato per un certo tempo la famigliola, portò quest’ultima a un tour nell’unità operativa. Rocco, questo il nome del bambino, osservò incuriosito le pareti del corridoio: “Mah, ci sono segni stradali che conducono sulle pareti. È stranissimo ‘sto posto. Speriamo bene”, pensò un po’ preoccupato.
Poi fu la volta di una bionda. L’infermiera gli attaccò gli appiccicotti. Quindi, fece ronzare l’apparecchio che si era portato dietro.
– Cos’è? chiese.
– Ah, ti ho fatto una ‘foto’ con i cavi, rispose con un sorriso l’infermiera.
– E come sono venuto?
– Benissimo, vedi che sorridi? Gli disse avvicinandogli l’apparecchio.
Rocco non sapeva come dirglielo a quella poverina. Quello che si era portato dietro non era un apparecchio fotografico. Era un elettrocardiografo. Ma lei era, chissà da quanti anni, convinta che fosse una Nikon o qualcosa del genere. Che fare? Non se la sentì di toglierle quella convinzione. Niente, decise di lasciar perdere. Lui la sapeva lunga. Ne aveva fatti di ECG, hai voglia!
– Hai ragione. Sorrido proprio. Son venuto proprio bene. Grazie, disse rivestendosi.
La bionda si riportò indietro l’elettrocardiografo impensierita.
Si sedette e guardò il tracciato, i complessi PQR…
“Mah, quel bimbo mi preoccupa: ha detto ‘Sono venuto proprio bene’ ”, disse a se stessa ripensando al commento del bambino.
Rocco era affetto da epilessia. Quando passò il giro dei medici, il ‘capo’ disse:
– Caro Rocco, da oggi sei un paziente. Noi tutti ci occuperemo di te e cercheremo di sbrogliare il bandolo della matassa del tuo problema.
– Grazie, rispose lui.
Poi, immediatamente, pensò: “Umh, a me basterebbe trovare una pillolina adatta, più efficace di quella che già prendo. Non mi va di perdere tempo con i sarti e le loro matasse… Ma se qui funziona così, che dire, ce la posso fare, dai”.
Appena i medici passarono alla camera vicina una bruna entrò in camera 9. L’infermiera si era portato dietro uno scartafaccio ricolmo di domande.
– Ed ora iniziamo l’intervista, disse sorridendo.
– L’intervista? Ora sì che si comincia a ragionare. Ma dove tenete le cineprese qui… Uhm, forse ho capito: sono nascoste. Così riprendete tutto e poi scegliete le scene migliori. Ma a me non la si fa, io sono un attore nato: vedrete…! commentò il piccolo paziente.
La mamma si scusò per l’entusiasmo di suo figlio:
– Il fatto è che, come tanti bambini di oggi, Rocco guarda troppa televisione…
Quindi, iniziò a dare le sue risposte.
Poi arrivò l’infermiera castana.
Portava con sè un braccialetto.
Rocco scrutò l’apparecchio con sospetto:
– Cos’è quel coso?
– Niente di speciale. È un braccialetto identificativo…, disse l’infermiera cercando di risultare simpatica.
– L’hai proprio detto: quel coso è per niente speciale. Non lo metterò mai!
Passò un quarto d’ora. Dopo aver esaurito le cartucce della pazienza, la ragazza lascò perdere:
– Va bene Rocco, se non lo vuoi indossare non cadrà il mondo. L’importante è che tu sia qui. Vedrai che io, i medici e tutti quelli che lavorano in pediatria, cercheremo di aiutarti a trovare una soluzione al tuo problema di salute. Il braccialetto è l’ultimo dei dilemmi, disse mentre cercava di allontanarsi dalla camera.
– Insomma, il mio braccialetto dov’è? Si sentì chiedere quando fu sulla porta.
L’infermiera pensò tra se: “Santa Monica di Faenza dammi ancora della pazienza/Adesso mi riavvicino a quel suo letto e gli appioppo’sto braccialetto. Amen”. Si armò con un sorriso da red carpet e rientrò:
– Ahh… me l’aspettavo: nessun bimbo resiste ai nostri braccialetti, prima hai voluto scherzare. Ma a me piacciono gli scherzi…
– Io non metterò mai quel coso!
L’infermiera si mise a riflettere: “Dunque, prima non lo voleva. Poi ha detto che lo vuole. Ora non lo vuole più. Umh, i bambini sono capricciosi a volte. A me, comunque i capricci non fanno nemmeno il solletico. Tanto più che ho dalla mia santa Rita. Aspetta com’era pure la preghierina? Ah, sì: ‘Santa Rita, santa Rita /Fammi un po’ di camomilla/Santa Rita se mi aiuti/ Vedi come sto tranquilla. Amen’. Bene, torniamo al nostro piccolo”:
– Okay. Rocco, te l’ho detto poc’anzi e lo ribadisco: non sei tenuto a mettere per forza il braccialetto… Anzi, saresti tenuto, ma, insomma lasciamo perdere. Sappi, comunque, se questo ti fa stare tranquillo, che ne possiamo fare a meno.
– Ma io non è che non voglia il braccialetto: io non voglio ‘quel’ braccialetto!
La castana chiese cosa non andasse nel braccialetto che gli aveva portato:
– È trasparente!
– È tras…
– Lo voglio rosso.
L’infermiera pregò dentro se:” Santa Eulalia indica un fosso/Dove possa trovare un braccialetto rosso. Amen”. Aspettò qualche secondo. Nessun fosso si palesò:
– Tempo scaduto. Santa Eulalia non è in linea, avrà il cellulare scarico, disse uscendo.
Dalla camera nove si sentiva urlare.
– Voglio un braccialetto rosso, voglio il mio braccialetto rosso!
La caposala chiese sottovoce.
– Ma cos’è ‘sto casotto?
L’infermiera castana spiegò la situazione. Il bambino continuò a sbraitare. Ormai si era fatta l’ora del cambio turno. E con il cambio arrivò il salvatore della situazione:
– Be’, e che ci vuole?
L’infermiere del turno pomeridiano prese un pennarello e tinteggiò di rosso il cartoncino e l’etichetta del braccialetto.
Quando il cimelio fu portato in camera nove, Rocco saltò dalla gioia:
– Non è uguale, ma ci somiglia!
– Scusa, ma somiglia a cosa? Chiese l’infermiera castana che stava per smontare.
– Ma come a cosa, esplose Rocco, ma che razza di ospedale è questo?
Intanto si era fatto un capannello di medici, infermieri, inservienti Manutencoop, OSS e qualche mamma delle camere attigue. Si stava pensando di fare una colletta per andare da qualche parte a comprare un benedetto braccialetto rosso (una delle piccole pazienti aveva offerto all’irato Rocco il suo, ma quest’ultimo dopo aver visto che era fatto di perline rosse, aveva risposto sdegnosamente che era un braccialino da femmina!).
Le volontarie dell’organizzazione che si occupava dell’attività ludica dei bimbi del reparto, avevano telefonato al loro responsabile per cercare di capire se fosse possibile far intervenire qualche ditta produttrice di braccialetti rossi. La guardia giurata dell’ospedale si era informato dal suo comando: niente braccialetti rossi. Né rossi né di altro colore:
– Ma, guardia Beccucci, hai bevuto? Sei in ospedale per far la guardia non per scambiare ninnoli con i nativi delle Galapagos! Cazzarola! gli avevano risposto.
Comunque, ora pareva tutto risolto. Il bimbo che non era riuscito a farsi erigere un padiglione G rosso, pretendeva almeno un braccialetto rosso!
Appena capitò l’occasione, la bionda del turno pomeridiano chiese al nuovo ospite:
– Ma cosa è ‘sta fissa per il rosso?
Il bimbo osservò tutti i presenti con malcelata compassione disse:
– Ma siete proprio disinformati: un ospedale serio dà ai suoi pazienti dei braccialetti rossi. Non la vedete la tv? E, via cerchiamo di sbrigarci con ‘sto film che le registrazioni costano, ‘pour la misere’, come dice il nonno!
“Ma porc…, il bimbo si riferisce alla serie televisiva ‘Braccialetti rossi’. Per lui è quello l’ospedale vero!” pensò soavemente uno degli astanti.
Da quel giorno e per tutto il tempo della degenza di Rocco, la pediatria diventò un set televisivo. Appena arrivava qualche nuovo piccolo paziente, Rocco, andava a controllare se il braccialetto che gli era stato dato fosse stato trattato col pennarello rosso:
– Anche se c’è la crisi, come dice mio papà, via, un pennarello rosso c’è lo possiamo permettere, commentava.
Nella scuola del reparto, il suo compito principale era diventato quello di pittore di cartoncini per braccialetti.
I nuovi piccoli ospiti, una volta registrati, potevano dimenticarsi il nome originale: Rocco affibbiava loro i vari Leo, Vale, Cris, Davide, Toni, ovvero i nomi dei ragazzi della famosa serie televisiva. Rocco, nei suoi 15 giorni di ricovero, si mostrò ingegnoso: quando i nomi non bastavano, allora ricorreva al numero da associare al nome. Così, quando capitava un doppio Leo, l’ultimo arrivato diventava Leo 2, etc.
La dottoressa che lo seguiva diventò, ovviamente, la dottoressa Lisandri, il nome che aveva il personaggio della tv.
Lui non ebbe bisogno di cambiare il nome, visto che si chiamava esattamente come il leader della serie televisiva.
Dopo cinque giorni di degenza, Rocco ebbe una crisi convulsiva con caduta a terra e irrigidimento. Poi fu colto da scosse involontarie. Si morse la lingua.
– Presto, sta male, gridò la mamma all’OSS che si trovava a passare nel corridoio.
Arrivarono gli infermieri. Alcune mamme che si trovavano a chiacchierare in camera di Rocco erano visibilmente scosse.
Ad un tratto (un infermiere l’aveva avvisata) si sentì dire:
– Fermi tutti e calma!
“Minchia!” osservò l’omarino che stava lavando i vetri.
A parlare era stata una specializzanda arrivata in reparto da pochi giorni.
La dottoressa continuò:
– È una normale crisì… Capisco che possa essere particolarmente ‘teatrale’ nella sua manifestazione…
“Doppia minchia, è arrivata la nipote del dottor House!” pensò questa volta l’omarino fermo con la pezzuola in mano.
Intanto era stato posizionato un cuscino sotto la testa del bambino e gli era stata fatta assumere la postura di sicurezza sul fianco, per permettere alla saliva che si può eventualmente accumulare nella bocca di defluire spontaneamente.
La dottoressa si chinò verso Rocco e, cercando di calmare gli animi, si guardò velocemente in giro e aggiunse:
– Vi pregherei di raggiungere le vostre camere. Non preoccupatevi, quello a cui avete assistito non è che l’esempio più paradigmatico di crisi epilettica, detta anche Grande male, ovvero una crisi generalizzata tonica clonica. Arrivederci…
“Tripla minchia! Questa ne sa più di suo zio House, altro che chiacchiere”, si disse l’operaio riprendendo a passare lo straccio sulla polvere dei vetri.
Fu l’unica crisi che il bimbo ebbe durante la degenza. Ma, se il numero delle crisi ammontò a uno, non così le visite dei parenti.
Una delle zie di Rocco era dietista di professione. Visitò il nipotino. Dopo i convenevoli e per deformazione professionale, il discorso degli adulti prese la strada sul come mantenersi in forma. La ragazza della Manutencoop, occupata a strizzare lo straccio nel secchio di plastica, lamentava qualche etto di troppo.
– Eh, ragazza mia. Bisogna essere rigorosi. Quando si è a dieta non bisognerebbe leccare nemmeno i francobolli: potrebbero essere ipercalorici! consigliò la dietista e zia.
Risero tutti.
Poi la ragazza tirò fuori la mazza dal secchio e osservò la dietista. Era sicuramente sui 119/120 chili.
Entrò a pulire il bagno e si mise a riflettere tra una strisciata e l’altra: “Mi sa che quella gentile signora, però e a dispetto di quanto affermi, scriva a un sacco di gente e quindi… di francobolli ne lecca parecchi!”.
Giovanni era in nota operatoria per il giorno dopo. Era giunto in reparto per uno shunt cerebrale. Era affetto da idrocefalo e, quindi, gli sarebbe stata posizionata una valvola per far defluire il liquido cerebrospinale nella cavità peritoneale.
Giovanni era Giovanni. Era Giovanni per tutti. Sicuramente per suo papà, sua madre e la sua sorellina. Era Giovanni per i suoi compagni di classe, per i bidelli, per gli zii, per i conoscenti.
Per Rocco no:
– Benvenuto ‘Cris 2’, gli disse Rocco affacciandosi sulla porta della camera 8.
– Grazie, rispose Giovanni.
Rimasero in silenzio tutti e due. Poi Giovanni chiese:
– Sei molto cortese a darmi il benvenuto. Ma, che ti è venuto in mente di chiamarmi ‘Grissino 2’?
– Andiamoci piano con i grissini. Non mi sarei mai permesso di chiamarti in quel modo.
– Ah, devo aver capito male. Sai com’è, mio papà fa il panettiere…
– Be’, e che vuol dire? Non ti ho chiamato ‘grissino 2’, ma se l’avessi fatto non penso sarebbe stata questa gran tragedia, commentò Rocco.
    – E invece sì. A me non piace.
    – Ehh quante storie.
– Quante storie… quante storie: metti che, quando divento grande, io mi metta ad aiutare papà in negozio e una signora dica di voler comprare un grissino, non pensi che si possa creare una gran confusione? Magari mi prendono e mi mettono nella busta della signora!
– È vero! Non ci avevo pensato.
Rocco se ne stette preoccupato e senza parole a guardare Giovanni:
– Comunque, ancora benvenuto Cris 2!
– Insisti con ‘sto ‘grissino 2’?
– Ma no, Cris 2 non è il diminutivo di ‘grissino 2’, chiarì Rocco.
– Va be’, anche se fosse il diminutivo di ‘crissino 2’, non mi piace lo stesso! disse Giovanni.
– Guarda, al limite Cris sarà il vezzeggiativo di Cristiano. Potrebbe essere. Tuttavia tu da oggi sei Cris 2: hai visto ‘Braccialetti rossi’ in tv?
– Bello! Comunque lì c’è Cris e basta. Da dove è uscito ‘sto Cris 2?
– Purtroppo, ‘chi tordi arriva mele alloggi’, come dice il proverbio…
– ‘Chi tordi arriva mele alloggi?’, cos’è un aggiornamento? chiese ridendo la mamma di Giovanni.
– Se sia un aggiornamento, non lo so: è una frase che dice sempre mio zio.
– Uhm, tuo zio deve fare un lavoro dove si vende di tutto, intervenne l’allieva infermiera che stava spiegando gli orari di visita del reparto.
 – E invece no. Ti sbagli clamorosamente, mio zio non vende niente, disse Giovanni.
 – …E non fa niente, intervenne il padre ironico.
– Okay. Di sicuro sappiamo che nella massima non ci sono nè ‘tordi’, né ‘mele’, né ‘alloggi’. La frase giusta è: ‘Chi tardi arriva, male alloggia’, corresse la mamma.
– Sì. Quella cosa lì, disse Rocco.
– Ah, se è così che volevi dire, non ci hai preso comunque: io sono arrivato in perfetto orario e l’alloggio, mi sembra ottimo, disse Giovanni guardandosi intorno compiaciuto.
– Ma non mi riferivo all’alloggio…
– Be’, se volevi riferirti al pranzo, dovevi dire ‘Chi tardi arriva male mangia’, ribadì Giovanni.
Rocco lo guardò dubbioso. Cominciò a chiedersi se sarebbe mai riuscito a spiegare a ‘grissino 2’… cioè ‘crissino 2’… No, Cris 2, che quel ‘2’ legato a ‘Cris’stava a significare che, nei Braccialetti Rossi della pediatria, c’era già un altro ‘Cris’. Prese una decisione: “Non cela posso fare. Faccio prima a convincere l’attuale ‘Cris’ a diventare ‘Cris 2’, che a spiegare tutto a ‘Cris 2’ che non vuol saperne di essere ‘Cris 2’ “.
Poi si ricordò che ‘Cris’ si chiamava nella realtà, anch’esso, Giovanni: “Uhm, dunque, devo andare da Giovanni per dirgli di diventare ‘Cris 2’’. Poi, devo ritornare da Giovanni per raccontargli che tutto è a posto e che, quindi, lui sarà ‘Cris’. Alla fine ci sarà Giovanni/Cris 2 e Giovanni/Cris…”.
Non ce la fece ad andare avanti. Si mise a piangere. Troppi Giovanni. E poi, tutti quei Cris lo stavano mandando… in crisi!
Ad un tratto, Giovanni parlò:
– Va bene. Ho intuito che in giro c’è un altro bimbo con il nome ‘Cris’. Quindi, accetto ‘Cris 2’.
“Grandioso. Non c’è stato nemmeno bisogno di spiegargli nient’altro. Solo che vorrei avvisarlo che l’altro ‘Cris’ che sarebbe diventato ‘Cris 2’ in caso di richiesta da parte mia, si chiama anch’esso Giovanni e che… No, meglio di no”, pensò saggiamente Rocco:
– Benvenuto tra i Braccialetti Rossi e ‘Watanka!’, concluse abbracciandolo.
La sera dopo l’intervento, Giovanni/Cris 2, iniziò ad avere problemi di dolore. Cominciò a manifestare il suo malessere a voce gridata.
Rocco e gli altri Braccialetti Rossi erano preoccupati: cosa fare per il loro amico? Be’, loro non potevano fare granché. Ma, l’anestesista che andò nella camera di Giovanni/Cris 2 parecchio.
Dopo qualche minuto che il medico fu entrato, i lamenti del piccolo si affievolirono. Poi, erano trascorsi più di quindici minuti, scomparvero del tutto.
Fuori dalla camera di Giovanni/Cris 2, i Braccialetti Rossi non sapevano cosa pensare: perché il loro amico prima gridava per il dolore e ora taceva? Del resto il medico era entrato solo con un naso rosso finto da clown, giusto per sdrammatizzare. Niente farmaci. Niente di niente. Che magia aveva usato quello ‘sciamano’?
Quindi, uscì:
– Tutto tranquillo. L’ho anestetizzato, disse con un tono buffo ai bambini in attesa.
Bella forza: se non lo anestetizzava lui che era un… anestesista, chi altro avrebbe potuto farlo?
Poi, fu più ricco di chiarimenti:
– Bimbi, lo sapete come ho fatto a calmare il vostro amico?
Le risposte furono le più disparate. Chi aveva pensato a una pozione magica che l’anestesista portava sempre in tasca. Chi, invece, a delle parole magiche imparate dal popolo dei Navajos. I più alieni lanciarono addirittura l’idea che, lo ‘sciamano/medico’, avesse uno smartphone capace di mettersi in contatto con extraterresti capaci di eliminare il dolore.
– No, niente di tutto questo. Il vostro amico ora dorme placido. La verità è che, al Braccialetto Rosso che sta lì dentro, ho raccontato una favola noiosa, ma noiosa, ma… noiosa… noiosa… no – io – sa… zzz…
Il medico si sedette per terra e si addormentò.
– Capperi sott’olio, doveva essere proprio noiosa se anche lui si è addormentato. Bravo! Disse Rocco che, vedendo arrivare un infermiere, suggerì:
– Bisognerebbe portarlo a letto: è un eroe. Ha raccontato un fatto noiosissimo al nostro amico per indurlo a dormire. Deve essere stato faticosissimo, visto che si è stancato tanto!
Appena tutti i bimbi si furono allontanati, l’anestesista si alzò e andò a correggere la terapia.


Era una mattina di gennaio. I due arrivarono come la Madonna e san Giuseppe. Non venivano dalla Galilea o da qualche altro posto da presepe. Venivano dal pronto soccorso di Rimini. Non avevano un asinello per portare la mamma e suo figlio.  Viaggiavano sul dorso di una barella con le ruote. Non erano seguiti dai re Magi, ma dai due addetti dell’ambulanza.
Era un’urgenza. L’unica camera libera era la 14.
– Ecco qua. Spero vi troviate bene. Questa è la culla per il suo bambino…
– Veramente è una bambina, disse la madre interrompendo l’infermiera.
La bionda si scusò. Lo sapeva pure che era una bimba. La dottoressa era stata chiara al telefono:
– Nel pomeriggio è previsto un ricovero in urgenza. Si tratta di una bimba di 2 anni, un probabile tumore della fossa cranica.
Ma l’infermiera era una sognatrice. Là dove atterrava un aereo vedeva un Tyrannosaurus rex planare, una foglia che svolazzava nel vento d’autunno era una ballerina russa e, ovviamente, un papà che accompagna la sua compagna seduta col suo fagotto in braccia sopra una barella, non poteva essere altro che il san Giuseppe della Sacra Famiglia il quale, guidando le briglia dell’asino, cerca di raggiungere insieme ai suoi cari l’Egitto, in modo da sfuggire alla maledizione di re Erode il Grande. Quindi, ci stava che avesse pensato alla bimba nei panni di Gesù bambino.
“Se la storia della Strage degli innocenti voluta da quel despota disgraziato sia una leggenda o meno, non lo so; di sicuro sono convinta che nessuna bimba dovrebbe subire, nella realtà, questa malattia maledetta  che, non è sicuramente meno drammatica della fuga di Gesù, Giuseppe e Maria”, pensò intristita l’infermiera.
Poi entrò un suo collega che mise alla bimba il suo braccialetto. Rosso. Glielo avevano promesso a Rocco che, limitatamente al tempo del suo ricovero, avrebbero usato i braccialetti corretti col pennarello. Nel corridoio, i due paramedici che si allontanavano dalla camera, manifestarono i loro punti di vista:
– Sto leggendo Mark Twain. C’è una frase che mi ha colpito particolarmente: “I due giorni più importanti della vita sono quello in cui sei nato e quello in cui capisci perché”, disse lui.
– Geniale osservazione!
– Geniale, certo. Tuttavia non so se la bimba che abbiamo appena ricoverato avrà mai l’occasione per capire perché, a nemmeno due anni, gli è capitato qualcosa molto più grande di lei, disse l’infermiere che si fermò a guardare fuori, come se vedesse un aquilone svolazzare nel maestrale.
Rocco andò subito a conoscere la piccola.
– Uhm… sei troppo piccola per avere una parte importante nei Braccialetti Rossi della pediatria. Tuttavia, vedrai, un ruolo per te lo troverò. Tu, intanto, pensa a guarire e a crescere un po’…
– Posso entrare? chiese una voce.
– Un momento. Qui si sta lavorando. Ho quasi finito… Allora, bimba, devi fare il giuramento ufficiale: basterà dire ‘Watanka’ e sarai arruolata nei Braccialetti Rossi.
– ‘Awaawahh!’ rispose la bimbetta.
– Va be’. Vìsto che al momento non riesci a dirlo meglio, accetterò quella cosa che hai detto: ma allenati a dirlo con più chiarezza, eh!
Sulla porta, la dottoressa che aveva chiesto di poter entrare, si scostò e fece uscire il piccolo ‘arruolatore’:
– Signor ‘primario’, io dovrei stendere la storia clinica, pensa che possa iniziare o ha altre attività di accoglienza da svolgere ancora? chiese con tono canzonatorio a Rocco che si era fermato nel corridoio.
Dopo tre giorni di indagini varie, esami ematici, TAC e programmazione di intervento, i medici giudicarono inoperabile la piccola.
– Troppo pericoloso. Il tumore è in un distretto anatomico difficilmente operabile. I benefici, a questo punto e in confronto ai rischi, sarebbero minimi. L’unica soluzione consigliata al momento, è la terapia chemio. Mi dispiace…, disse il medico ai genitori della piccola.
Giorgia, questo il nome della bimba, era diventata in solo tre giorni, la tappa più importante della giornata di Rocco. Non faceva chiasso. Entrava in silenzio e la guardava dormire in preda al torpore della malattia. Le solleticava le guance e poi andava via.
Quando il ‘leader’ dei Braccialetti Rossi della pediatria seppe che Giorgia sarebbe andata via, in direzione del Sant’Orsola per la chemioterapia, raccolse gli altri piccoli Braccialetti Rossi del reparto.
Quando arrivò la barella dell’ambulanza schierò il minuto drappello vicino all’uscita.
Appena si approssimò Giorgia, i bimbi portarono al cuore i loro braccialetti e dissero a voce ferma: ‘Watanka!’. Poi, mentre la porta vetrata si richiudeva automaticamente dietro il gruppetto che si dirigeva verso l’ascensore, Rocco iniziò a cantare a bassa voce “Ogni volta” di Vasco Rossi. L’aveva visto fare al suo ‘doppione’ e omonimo televisivo Rocco quando diede l’addio al suo amico Davide, morto in seguito a un’operazione cardiaca.
Quel pomeriggio, molti del personale della pediatria avevano gli occhi lucidi.
– Via, si rimetterà presto, disse Rocco all’infermiera coi lucciconi agli occhi.
Poi se ne andò in camera sua e si mise a piangere in silenzio.
Dopo due giorni Rocco fu dimesso. Al momento dei saluti, sentì un infermiere che, nella permanente mancanza di personale, diceva alla caposala che il giorno dopo ci sarebbe stato a disposizione, sia per il reparto adulti e sia per la pediatria, un solo OSS:
– Uno solo? Ma è terribile: con un solo osso non ci fate nemmeno il brodo! Vi saluto, disse Rocco salutando con la mano.


Il tempo passò. I minuti si tramutarono in ore. Le ore in giorni e i giorni in mesi, e quest’ultimi in anni svolazzanti.
Di anni ne passarono tanti.
Quando la famigliola accompagnò il nuovo ospite nella pediatria, fu loro assegnata la camera 9.
– Come tanti anni fa! esclamò il padre.
– Già, è vero: potrei dare un’occhiata alla camera 14, chiese la madre rivolta all’infermiera coi capelli rossi.
– La 14… Sì al momento è libera. C’è qualche speciale motivo che vi spinge a questa visita? Chiese a sua volta la rossa.
– Sì, è una storia lunga. Vi annoierei, concluse la madre del piccolo che era stato ricoverato per accertamenti.
I giorni che seguirono, il padre del nuovo ricoverato sembrava tutto preso. Come uno speleologo osservava ammirato e con passione tutti gli angoli del reparto. Poi chiese notizie. Fece dei nomi, medici, infermieri, tecnici, OSS, volontari, maestre, etc.
– Oddio, io sono nuovo. Lavoro qui da troppo poco tempo per conoscere i nomi che mi avete fatto, si schermì il medico che seguiva il figlio.
Invece uno di quei nomi ancora lavorava lì. Era un’infermiera castana.
Doveva fare il turno di notte. Mancavano solo pochi mesi alla sua pensione. Dopo la consegna, la coppia della notte, iniziò il giro delle camere. Quando entrarono nella camera 9, l’anziana infermiera scambiò insieme al collega qualche chiacchiera con il padre e la madre del nuovo arrivato. Non li riconobbe. In cambio i due le chiesero se lei riconoscesse i due aggeggini che le mostrarono: due braccialetti rossi dipinti col pennarello.
– Impossibile! Tu sei quel bimbo che, scusa non mi ricordo il nome, è passato tanto tempo… Ah, sì: tu sei Rocco dei Braccialetti Rossi!
– Già, disse lui con un groppo alla gola. Sono tornato per chiedere scusa dei casini che combinavo con la storia dei braccialetti… E per far dare un’occhiata a mio figlio. È sano. Ma non si sa mai… Io le mie crisi le tengo sempre sotto controllo con la Dintoina. Faccio i dosaggi…
– E lei, la conosco? chiese l’infermiera indicando la compagna di Rocco.
Erano tutti e tre con gli occhi lucidi. Il loro bambino, stanco, già dormiva.
– Be’ sì. Io sono Giorgia. Probabilmente ti ricorderai di me perché questo qua, il mio Rocco, mi fece fare la ‘parata’ di saluto quando fui trasferita al Sant’Orsola.
“Incredibile!” continuava a pensare l’infermiera. Poi, rivolta a Giorgia:
– Scusa, ma dopo la chemio cosa è successo?
– Tutto sparito. Sono sempre stata bene. A parte la chemioterapia, posso dire che c’è stata una completa remissione spontanea.
Dopo la camera 9 finirono di dare digiuni e indicazioni agli altri piccoli pazienti. Quindi, fu il momento del caffè.
“È passato tanto di quel tempo. I miei colleghi sono tutti in pensione. Qualcuno è morto. Mio marito è morto. I miei genitori, da tempo , non ci sono più. Mia figlia non la vedo da secoli: è andata a sposarsi in America. Mio nipote non so nemmeno che faccia abbia. In quanto a me, cosa mi rimane, cosa sono? Probabilmente, una candidata alla minestrina della sera, una vecchia in balia di una pensione stupida”, si mise a riflettere tra un campanello e una flebo da cambiare.
Si intristì.
L’infermiera castana, era l’unica superstite di una stagione che ormai era trascorsa ineluttabilmente. L’arrivo di Rocco e Giorgia ne segnalò l’ultimo bagliore, l’ultimo ricordo.
Poi sarebbe stato l’eclisse di tutto.
Eppure, il loro arrivo portò un po’ di calore nella mente dell’anziana infermiera. In fin dei conti quei tempi li aveva vissuti con tanto entusiasmo per quel che faceva. Aveva realizzato la sua storia. Certo non era la Storia. Ma, con la maiuscola o la minuscola, le storie sono tutte importanti: gli operai che lavorarono al duomo di piazza Maggiore, nel 1400, furono probabilmente orgogliosi di prestare le loro mani a un’opera che sarebbe rimasta nei secoli. In quelle pietre, anche se non scritti, resteranno in eterno i loro nomi. Così come, nel suo reparto, senza alcuna didascalia marmorea affissa sul muro, resteranno tutti i nomi del personale che si è adoperato per rendere confortevole il passaggio di tutti quei bambini che la vita ha voluto mettere alla prova prima del tempo.
E, quindi, nella pediatria sarebbe rimasto anche qualche segno del suo passaggio.
Si rinfrancò.
Il mattino dopo, appena vide la collega pronta al turno del mattino, le disse euforica:
– Ehi, una grande notizia: sono tornati i Braccialetti Rossi!
L’infermiera del mattino la guardò stupita. Ovviamente, essendo nuova e al secondo giorno di lavoro nel reparto, non poteva conoscere il motivo della gioia della smontante.
Si limitò a pensare: “Speriamo che le diano subito la pensione, poverina. ‘Sono tornati i Braccialetti Rossi?’ Mah”.
Ad aspettarla vicino all’ascensore, l’infermiera della notte trovò Rocco:
– Posso fare almeno una cosa per te? Se permetti, ti chiamo l’ascensore. Questo posto mi ha dato tanto e vorrei ricambiare almeno pigiando un bottone.
Rocco era un po’ a disagio.
L’infermiera pure.
Poi, appena l’ascensore fu al piano, Rocco si risolse:
– Bene. Sono quasi sicuro che sarà difficile rivederci. Volevo augurarti buona giornata e dirti che in questa pediatria non fate dei gran film, i braccialetti rossi li fate un po’ arrangiati e non sono granché, tuttavia ed è questo che conta, avete tutti un gran cuore.
L’ascensore fece per chiudersi.
Rocco lo bloccò mettendo una mano sulla fotocellula. Infine, si congedò definitivamente:
– Questo è per te, concluse mettendo al polso dell’anziana infermiera un braccialetto dipinto col pennarello rosso.
– Grazie per avermi arruolata nei Braccialetti Rossi della pediatria, disse con gli occhi lucidi lei.
Fuori e ad un tratto, il sole del mattino fu oscurato da qualche nuvola di passaggio. Poi ritornò a splendere forte.
Come la vita.

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