George Benson – Guitar Man

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Pubblicato il 2012/01/08 da 
George Benson - Guitar Man
Scheda
RISPETTO AL GENERE
9.0
RISPETTO ALLA CARRIERA
8.0
HYPE
10
VOTO
9.0

910
Lo trovi su
di Mario Cascino
RECENSIONE
Ne è passato di tempo dalle collaborazioni con Miles Davis e dal successo travolgente di Breezin’, ma George Benson è e rimane uno tra i più grandi chitarristi della Storia del Jazz.
Con 50 album in studio alle spalle – di cui più di 30 come protagonista assoluto – 10 Grammy Awards e un Jazz Master della NEA (considerata la più alta onoreficenza Jazz in ambito mondiale) non c’è da stupirsi che il suo ultimo lavoro, uscito ufficialmente l’8 Ottobre 2011, sia una perla preziosa della musica contemporanea, lavorata finemente da mani esperte, che va a coronare una carriera strepitosa delineandone un ritratto delicato e sublime. Negli anni George Benson ha dimostrato di essere un musicista versatile, iniziando alla tenera età di otto anni a girare per i club cantando e suonando l’ ukulele, avvicinandosi quindi al Bebop, all’ Hard Bop, al Funk, al Soul, al Fusion, allo Smooth Jazz e dando forma e contenuto a quello che negli anni abbiamo imparato a chiamare RnB: in questo ultimo disco –Guitar Man, un titolo che riassume perfettamente l’essenza di GB – ritroviamo tutta la sua esperienza di chitarrista e vocalist proprio in virtù delle sue profonde radici jazzistiche, ma rimane evidente come il ritmo sia essenzialmente Funk, la melodia Soul e il repertorio scelto inequivocabilmente Pop. Un bel modo per dare dignità a quello che oggi è perlopiù considerata musica mainstrem.
Il disco si apre con Tenderly, un brano di Jack Lawrence e Walter Gross che GB interpreta da solista ricordandoci che dieci dita e sei corde potrebbero benissimo fare il lavoro di un’intera orchestra. La seconda traccia è una reinterpretazione interessante della famosa I want to hold your hand diLennon&McCartney che vede una line up più ampia rispetto al resto del disco: oltre a Benson troviamoDavid Garfield – direttore artistico del disco e grande amico di GB – al piano, Paul Jackson Jr. and Ray Fuller alle chitarre, Freddie Washington al basso, Oscar Seaton Jr. – che lavora regolarmente nei tour con Benson – alla batteria, Charlie Bisharat al violino e Dan Higgins ai fiati. Tutti insieme, ma sempre concentrati sulle idee e i suggerimenti di GB, in questa traccia i musicisti trasformano una delle più vecchie e semplici tra le ballad dei Beatles in qualcosa di vivo e sensuale.
Segue poi l’impostazione a quintetto che predomina in questo disco, anche se con molte varianti: tra tutti spicca il giovanissimo bassista Ben Williams, che viene ringraziato e citato più volte all’interno delle note del libretto e prende in carico le responsabilità della sezione ritmica praticamente per tutto il resto del disco. Un ragazzo da tenere d’occhio.
In questo lavoro, tanto vario quanto stilisticamente uniforme grazie allo stesso GB che fa quasi da collante tra le varie sessioni di registrazione, affrontate con animo disteso e un’impostazione che guarda costantemente all’improvvisazione, possiamo trovare una semplice e divertente versione di My Cherie Amour di Stevie Wonder in cui ritorna anche la sorprendente voce di Benson, più giovanile che mai.
Si continua con un omaggio strumentale a Jhon Coltrane con Naima e uno a Wes Montgomery conTequila, ma tra gli artisti che GB ringrazia e fa propri in questo disco ci sono anche Jesse Harris (con Don’t know why), Rod Temperton (The lady in my life), e Johnny Hartman di cui ri-arrangia la famosa My one and only love.
Tra le altre tracce, tutte piene di sentimento ed emozione, si fanno notare una versione molto ritmata di Paper Moon con il quartetto base chitarra, piano, basso e batteria, e anche una interessantissima versione solista della famosa canzone irlandese Danny Boy: da ascoltare con attenzione, perché Benson fa suonare le sue corde come se fossero cornamuse, un chiaro segno di stile che dimostra perché è considerato uno dei migliori al mondo.
Il tutto si chiude con una formidabile e sincopata Fingerlero, scritta da Ronnie Foster,collaboratore di Benson ai tempi di Breezin’ (1976 per la cronaca) che lui stesso considera “il miglior tastierista al mondo”. Foster mandò la traccia a Benson quasi per scherzo, e il chitarrista riconobbe subito quanto fosse ritmicamente intrigante. “I knew before he sent it that it was going to be unusual, but I didn’t know how unusual,” dice Benson nell’intervista che ha lasciato per la Concord Records, la sua attuale etichetta discografica. “It was so interesting that we had to try it. David wrote out the changes for the guys. We did it a couple times and it worked. It had a really unique vibe to it.
Per Benson è sempre stato molto più che un tabù o un limite da infrangere l’unire la forza del jazz agli standard del pop, una sfida che il chitarrista ha sempre vinto anche con le limitazioni che necessariamente vengono dalle grandi labels. Per chiudere vale la pena citare una seconda volta il suddetto articolo che potete trovare anche qui:
“Le persone categorizzano le cose perché hanno bisogno di trovare un angolino in cui sistemarsi loro stesse. Per me è solo musica. Anzi penso che un sacco di canzoni pop che sono diventate famose negli States negli anni passati siano state registrate da musicisti jazz, dietro le quinte. La maggior parte dei lavori della Motown sono stati registrati così. Erano semplicemente musicisti jazz che vivevano in Detroit e sono stati chiamati a fare un lavoro, e l’hanno fatto bene… io cerco esattamente di fare la stessa cosa. In fondo ci sono solo due tipi di musica, quella buona e quella cattiva. Ci sono un sacco di cose nel mezzo, ma finiranno tutte per scivolare da una parte o dall’altra di questa divisione”.

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